Tra i popoli indigeni del deserto scoprì un mondo in cui la natura non era un concetto lontano, ma un’esperienza viva, quotidiana, sacra. Una notte, intorno al fuoco, uomini e donne parlarono delle stelle. Non della loro luce né delle loro forme, ma del loro suono. Per loro, il cielo non era muto: le stelle cantavano, vibravano, inviavano messaggi che potevano essere percepiti se si era abbastanza aperti e attenti. Quando Laurens confessò di non sentire nulla, che vedeva soltanto un cielo silenzioso, inizialmente credettero che stesse scherzando. Ma quando capirono che diceva la verità, si rattristarono. Lo guardarono con compassione, come qualcuno privato di qualcosa di essenziale. Per i boscimani, non udire le stelle era più di una mancanza: era la prova di una disconnessione con la vita, con la terra e con l’universo. Significava aver perso la comunione originaria che rende l’essere umano parte del tutto. Fu allora che Laurens comprese la frattura che separa il mondo occidentale che ha costruito macchine e città piene di rumore dal mondo di coloro che ancora ascoltavano il silenzio profondo, quello in cui canta il cosmo. Ciò che per noi è un cielo lontano e muto, per loro era una sinfonia. E forse la loro tristezza non fu solo per lui, ma per tutta l’umanità, che nella sua idea di progresso ha smesso di ascoltare. Credit Piacevole Scoperta